La collezione Joseph Beuys
Una novità nelle collezioni del Kunsthistorisches Institut in Florenz
La collezione Joseph Beuys, acquisita dalla biblioteca del Kunsthistorisches Institut in Florenz e proveniente dalla collezione privata di Lucrezia De Domizio Durini, comprende più di 500 opere. La collezione include, oltre a libri e volumi illustrati, anche formati insoliti come audiocassette, cartoline e opuscoli. Molte delle opere contengono dediche personali, disegni e registrazioni dell'artista. Nell’ambito di questa mostra la biblioteca presenta per la prima volta al grande pubblico esemplari selezionati dalla collezione. Per l’occasione le fotografe Bärbel Reinhard ed Elisa Perretti (Fondazione Studio Marangoni) si confrontano con creatività con il formato a volte ingombrante, ma in ogni caso non convenzionale degli oggetti-libro.
Nessun altro paese in Europa ha continuato a destare nei tedeschi un tale interesse, un tale entusiasmo e una vera e propria nostalgia come l’Italia. Nel corso dei secoli innumerevoli testimonianze letterarie e pittoriche hanno immortalato i viaggi verso l’Italia, che non di rado sembravano pellegrinaggi, e descritto spesso con toni euforici paesaggi, edifici e opere d’arte, persone, usi e costumi, musica, arte culinaria e molto altro ancora. Non di rado il paese e la sua ricca cultura sono diventati per gli estasiati tedeschi un modello vagheggiato quasi come un idealtipo. Anche la fondazione del Kunsthistorisches Institut di Firenze avvenne, ormai 120 anni fa, all’ombra di questo ideale, quando il “contatto ininterrotto della ricerca tedesca con l’arte [rinascimentale] dell’Italia”, “quest’altissima scuola”, fu richiesto come presupposto per valutare correttamente la propria arte nazionale “del Nord”. Ma già nel 1927, una generazione dopo, Wilhelm Waetzoldt, che nello stesso anno assunse la presidenza dell’associazione promotrice del Kunsthistorisches Institut (KHI), nel suo libro dedicato ai “cambiamenti nella nostalgia per l’Italia” (Wandlungen der Italiensehnsucht) notava in modo obiettivo che l’Italia “di cui sognavano i [nostri] padri” non esisteva più, che era diventata “troppo vicina, troppo conosciuta e troppo affine”, che l’“esperienza del viaggio in Italia era stata banalizzata.” La nostalgia per l’Italia, affermava, era fondamentalmente il risultato di una proiezione della fantasia che poteva ormai essere considerata solo in prospettiva storica. Indipendentemente dalla valutazione del fenomeno, l’enorme impatto dell’incontro con l’Italia su molti artisti “del Nord” è un fatto indiscusso e dimostrato. Waetzoldt lo descrive sotto forma di una panoramica storica, dal tardo Medioevo al XIX secolo, e lo sintetizza nell’affermazione che non è possibile prescindere da nessuna di queste numerose “interpretazioni dell’Italia” nella storia dell’arte europea e che nessuna è “l’unica corretta”. In altre parole, non si trattava allora più di sentimenti personali quanto della necessità di classificare i risultati sotto il profilo scientifico. Se lo scritto di Waetzoldt, o almeno il suo tempo, esplicita una sorta di punto di svolta nella prospettiva, indica anche al contempo una pietra miliare nella storia della biblioteca del KHI, per considerare con particolare attenzione le interrelazioni artistiche, per quanto fossero state tendenzialmente unilaterali, tra Germania e Italia come un fenomeno storico-artistico e quindi come un oggetto della ricerca nello sviluppo della collezione. I titoli raccolti nei decenni successivi e fino ai giorni nostri comprendono diverse migliaia di volumi, tra cui numerose fonti dirette (diari di viaggio).
Se ora, dopo queste osservazioni preliminari, passiamo alla figura di Joseph Beuys e al ruolo che riveste nella biblioteca del KHI, allora qualche spiegazione è certamente necessaria. Prima di tutto Beuys appartiene senza dubbio al gruppo di artisti tedeschi che si sono confrontati intensamente con l’Italia. E anche se il suo primo incontro con questo paese avvenne in un contesto bellico e Beuys arrivò in Italia dapprima nel 1943/44 come soldato della Wehrmacht, le sue lettere rivelano che l’entusiasmo per “questo paese meraviglioso”, in particolare per i suoi paesaggi che egli vedeva soprattutto come un paesaggio culturale plasmato dall’uomo, si inserisce totalmente nel solco della tradizione della già citata ammirazione per l’Italia. I suoi incontri con l’Italia a partire dagli anni Sessanta, quando Beuys insegnava già come professore di “scultura monumentale” alla Kunstakademie di Düsseldorf, furono naturalmente ben più ricchi di sviluppi. In quel periodo si fece conoscere anche in Italia, tra l’altro grazie all’interesse che la sua arte suscitò tra i protagonisti dell’Arte Povera. Le sue amicizie con il gallerista Lucio Amelio (Napoli) e il mecenate barone Durini e la moglie Lucrezia De Domizio (Bolognano), ma anche ad esempio con Bruno Corà e altri, avrebbero infine legato strettamente Beuys al Suditalia, sia artisticamente che umanamente, legame che si può ricostruire attraverso numerose mostre, azioni (politiche), soggiorni prolungati e aneddoti che sono stati tramandati. Queste sarebbero dunque ragioni più che sufficienti per considerare del tutto coerente la presenza dell'artista nella collezione di letteratura della biblioteca del KHI. Ma c’è dell’altro. Sempre negli anni Sessanta la biblioteca iniziò a raccogliere sistematicamente la letteratura sull'arte del XX secolo fino al presente, con particolare attenzione per l'Italia. Nel corso dei decenni è cresciuto così un settore che è divenuto ragguardevole anche in termini di quantità e che viene considerato il punto di partenza per la ricerca in questo campo. Certo, il fatto che ci si concentri in relazione all'arte del dopoguerra su una sola nazione non appare effettivamente appropriato. Anche se i recenti sforzi per ampliare la prospettiva possono svilupparsi solo con un criterio selettivo, l’ultima felice acquisizione della collezione privata di letteratura scientifica su Beuys dal patrimonio di Lucrezia De Domizio Durini (oltre 500 opere) è stato un passo decisivo. Come quasi nessun altro artista Beuys combina nella sua produzione diversi movimenti artistici, differenti medium nonché numerose personalità e varie nazioni. In questa luce i dibattiti e le controversie su questioni fondamentali dell'arte e sul rapporto di quest’ultima ad esempio con la politica e la natura, che lui aveva avviato e la cui eco non si è ancora spenta fino ad oggi, non hanno perso la loro rilevanza, anzi ci sfidano a porci quesiti sempre nuovi e da prospettive sempre diverse. Non è quindi esagerato descrivere la Collezione Beuys al KHI come una sorta di centro di attrazione, o almeno come un nuovo punto focale tematico, nel cui contesto ci aspettiamo un'attività di ricerca intensa e diversificata. Anche il fatto che l'opera e la persona dell'artista siano entrate in una straordinaria e iconica simbiosi con il mezzo fotografico, gioca senz’altro un ruolo di rilievo. In considerazione della ricerca sulla fotografia nei suoi contesti storici, mediali e materiali, radicata nei programmi di ricerca al KHI, il caso Beuys e la ricca eredità fotografico-documentaria che ha lasciato nella saggistica saranno verosimilmente di grande interesse.
Con la selezione qui proposta vogliamo consentire a un pubblico più ampio di gettare un primo sguardo su questa collezione. L'attenzione si concentra su libri fisicamente e materialmente alquanto insoliti e su oggetti simili a libri la cui forma e materialità rappresentano una sfida per la riproduzione fotografica. In Bärbel Reinhard e Elisa Perretti (Fondazione Studio Marangoni) abbiamo trovato due fotografe professioniste che si sono assunte il compito, con grande impegno ed entusiasmo, di fotografare gli oggetti-libro, alcuni dei quali sono ingombranti e altri stimolano i sensi in modo non convenzionale. Cogliamo l'occasione per ringraziarle di cuore per il loro contributo.
Non esiste altra forza rivoluzionaria che il potere creativo dell’uomo.
(Joseph Beuys)
Joseph Beuys è uno tra i più emblematici e significativi personaggi della storia dell’arte mondiale del secondo dopoguerra. È la figura che meglio rappresenta, con la sua vita e la sua opera, l’energia centrifuga e anti-tradizionale che l’arte contemporanea abbia prodotto negli ultimi decenni del XX Secolo riuscendo a rivestire la sua stessa persona di arte, e l’arte della sua persona.
Questo significa molto di più della mai sopita idea di unità tra Arte e Vita perché Beuys, ponendo sé stesso all’interno dell’opera d’arte, ha inteso sottolineare il potere antropologico di tutta l’arte. Innanzitutto era un uomo che amava gli uomini e la “natura nostra madre” in cui gli uomini vivono.
Non ha inventato nessun metodo, ma ha dedicato con generosa umanità l'intera sua vita alla ricerca del miglioramento dei metodi esistenti nella società.
Due sono i concetti che appartengono alla filosofia beuysiana.
Il primo: tutti gli uomini della Terra di qualunque professione o mestiere possiedono una energia creativa e “libera” che messa in atto, produce un bene per sé stesso e un bene fruttifero per la società.
Il secondo: la sua famosa Living Sculpture fatta di uomini di diverse origini, differenti stati economici, politici e culturali legati insieme da una solidale e “libera” collaborazione. Sempre per il Bene comune.
Per far comprendere la sua arte regale Beuys ha adoperato più di ogni altro artista al mondo simboli e slogan. In questo senso ho definito Beuys
Scultore di Forme e Scultore di anime.
In riferimento a questa mia definizione, per la sua Scultura Sociale, la Living Sculpture, si è servito di materiali invisibili come gesti, parole, odori, rumori, suoni, comportamento, persino la mitologia della sua stessa persona, affinché si attuasse un processo di solidale collaborazione tra differenti uomini nel rispetto della libertà e della creatività umana: L’Unità nelle Diversità.
Beuys SCULTORE di FORME
Per le sue opere ha utilizzato anche materiali visibili come feltro, grasso, ferro, piante, legno, animali, miele, olio, pietra, cioccolata, vino, colori, da interpretare quali “sostanze”, “veicoli” della sua comprensione delle energie che conferiscono significato e scopo alla vita.
Si potrà quindi comprendere che i materiali usati per le sue opere, azioni e discussioni non hanno alcuna relazione con quelli adoperati dall’Arte Povera o dai Minimalisti americani prettamente formali. I materiali che Beuys ha adoperato per le sue opere oltrepassano il puro processo rappresentativo per interpretare il flusso dell’energia umana nel senso naturale e primitivo, flusso della vita e della morte, dell’uomo e della socialità nell’arte.
In questo contesto sento la necessità di puntualizzare cosa rappresentavano per il Maestro tedesco la fotografia e la firma.
Beuys è stato l’artista che ha compreso in anticipo l’importanza di “propagandare” il proprio credo attraverso la propria immagine usando tutti i mezzi, ripeto, persino il corpo e la mitologia della sua persona.
L’artista deve vedere la propria opera come una foto, un’immagine aperta non finita
(Joseph Beuys)
La fotografia è un mezzo per ricordare o per simbolizzare un concetto. Beuys ne ha fatto ampio uso per esprimere il suo metaforico linguaggio.
Amava moltissimo farsi fotografare in quanto estensione del suo pensiero, così come firmare. Firmava infatti indifferentemente qualsiasi oggetto gli venisse sottoposto, ma era anche consapevole che dopo la sua morte questo suo comportamento avrebbe potuto causare mistificazioni e ambiguità nel sistema dell’arte. Per questo predisponeva che le sue opere ogni anno venissero fotografate e catalogate in pubblicazioni al fine di differenziarle dai suoi tanti souvenir. Quindi: le opere autentiche di Joseph Beuys sono solo quelle catalogate in pubblicazioni edite prima della sua prematura scomparsa (23 gennaio 1986), gli altri sono semplici ricordi che chiameremo “souvenir”, per i quali vige la legge della domanda e dell’offerta ma che non appartengono al mercato dell’arte. Beuys è stato fotografato da centinaia di persone e da grandi fotografi, ma le fotografie di Buby Durini – che usava la microfotografia per le sue ricerche scientifiche – posseggono un senso umano e filologico per aver condiviso 15 anni con Beuys in molti Paesi nel mondo: sono documenti storici irripetibili.
Negli anni ho realizzato una ricca biblioteca di libri su Beuys pubblicati in molte lingue e di vari editori. Nei paesi dove mi recavo ne ero sempre alla ricerca, li comperavo e ne ricevevo anche da molti amici. Beuys, che sapeva della mia collezione, mi regalò molti libri con dedica a mio nome e a di mio marito ed anche alcune rare pubblicazioni stampate in ciclostile.
Avevo collezionato oltre 1000 volumi, catalogati per anni, gelosamente custoditi in uno ampio scaffale di cristallo unitamente ai miei 33 libri editi da varie Case Editrici italiane, alcuni tradotti in inglese e in tedesco.
Un giorno vedendo la bella grande vetrina ebbi una strana sensazione … i libri erano bellissimi … ma Muti! Pensai allora di offrirli a una biblioteca italiana affinché svolgessero il loro compito. Poiché conoscevo Andrea Tomasetig – uno tra i più prestigiosi bibliotecari italiani – per aver edito uno speciale volume fotografico dell’operazione Difesa della Natura di Beuys (foto © BubyDurini), gli chiesi, di consultare le biblioteche italiane fornendogli l’elenco dettagliato dei libri. Per Tomasetig fu un anno di intenso lavoro, consultò oltre 50 biblioteche con esito negativo. Allora gli suggerii di contattare la più importante biblioteca tedesca che immediatamente accettò l’offerta stabilendo che la mia collezione fosse inviata al Dr. Jan Simane, direttore della Biblioteca del Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-Institut.
Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.
Carlos Ruiz Zafón
Joseph Beuys è l’artista che più di ogni altro ha saputo e voluto incarnare il superamento dell’arte, tendendo i propri sforzi in direzione del territorio utopico dell’energia naturale e della comunicazione spirituale: la realtà come spettro fenomenologico delle possibilità umane.
L’arte di Joseph Beuys è ancora tutta da approfondire, da leggere, da studiare.
Lucrezia De Domizio Durini – Bolognano Parigi maggio 2021
Dopo il boom economico, a partire dalla metà degli anni Sessanta dilagò in Europa un rinnovato interesse per lo scambio di fenomeni contemporanei sulla scena artistica, che cercavano di prendere le distanze dalle posizioni pittoriche, espressive e consumistiche dell’America. Joseph Beuys fu una delle figure centrali in Germania. E sebbene sia stato a lungo considerato un personaggio scomodo ed eccentrico con idee in parte utopistiche, dalla prospettiva odierna si può affermare che le sue posizioni sul ruolo dell’artista nella società, sull’espansione delle visioni di impronta politica ed ecologica, ma anche sui collegamenti tra arte e scienza sono ancora di grande attualità. Le idee e le teorie che elaborò dal suo appartamento-atelier a Düsseldorf e attraverso la sua iniziale attività di insegnamento all’Accademia, sempre a diretto contatto con le persone, che si trattasse di studenti o di un pubblico più vasto, si diffusero prima in Europa e poi, dalla metà degli anni Settanta, anche negli Stati Uniti. L’Italia fu però certamente uno dei paesi, si potrebbe dire “il” paese – accanto alla Germania – in cui Beuys trovò il terreno più fertile per le sue affermazioni e le sue attività artistico-rivoluzionarie dal 1971 alla morte. Una circostanza che si potrebbe ricondurre a molteplici ragioni. Da un lato c’è il fascino culturale che ha attirato artisti e intellettuali del nord nella “terra del sole e dei limoni” fin dal Rinascimento e ha assicurato un vivo scambio culturale tra Germania e Italia. Si pensi ai celebri “predecessori” e viaggiatori in Italia come Albrecht Dürer e Johann Wolfgang von Goethe. Un altro motivo fu certamente il primo soggiorno che influenzò Beuys durante la seconda guerra mondiale, quando all’inizio del 1943 fu di stanza come soldato a Foggia in Puglia per alcuni mesi. [i] Era così entusiasta del paesaggio e della cultura che decise qui all’età di 22 anni di diventare un artista, stando a quanto emerge dalle lettere ai genitori. [ii] Tuttavia il terzo e più centrale aspetto fu l’inizio dell’intensa collaborazione internazionale di Joseph Beuys con galleristi, critici e collezionisti che, a partire dal 1971, gli aprì la strada anche sulla scena artistica italiana. [iii] Determinante fu la conferenza sul futuro del mercato internazionale dell’arte organizzata da Klaus Staeck a Heidelberg nel settembre 1971 e alla quale furono invitate circa 30 persone. E qui Beuys incontrò per la prima volta il gallerista italiano Lucio Amelio, il critico Germano Celant e gli artisti Mario Merz e Jannis Kounellis. [iv] La conseguenza diretta fu la visita di Amelio allo studio di Beuys a Düsseldorf e il suo invito a Napoli e nella sua villa per le vacanze a Capri. Lucio Amelio divenne il suo accompagnatore fisso nonché interprete. [v] Durante il loro soggiorno a Capri nell’autunno del 1971 i due progettarono la prima serie di mostre di Beuys per l’Italia, la cosiddetta “Tetralogia napoletana” (dal 1971 al 1985). [vi] Anche Jannis Kounellis e Mario Merz furono presenti poi all’inaugurazione alla galleria Modern Art Agency di Napoli nel novembre 1971. [vii] Questi due importanti rappresentanti dell’Arte povera italiana, movimento fondato nel 1969, sono anche un imprescindibile indicatore delle interazioni artistiche che mettono in evidenza chiari paralleli, ma anche differenze condizionate dall’aspetto culturale, con il lavoro di Beuys. [viii] Alla seconda inaugurazione a Roma nell’ottobre 1972 «vennero tutti», come affermò poi Jannis Kounellis. [ix] Oltre a Lucio Amelio e ai critici Achille Bonito Oliva e Germano Celant, anche Lucrezia De Domizio Durini e Buby Durini vanno annoverati tra le figure centrali che fornirono a Beuys un palcoscenico in Italia per le sue numerose azioni artistiche e politiche. [x] Si deve poi contare la FIU (Free International University), fondata nel 1973, che fu presente anche in Italia dal 1979 con rappresentanze a Torino, Pescara, Roma e Palermo. Beuys trovò così sostenitori e sponsor di larghe vedute che promossero attivamente il suo concetto esteso di arte e l’impegno per la politica ambientale ad esso associato (Difesa della Natura, Olivestone, ecc.).
Il concetto di scultura sociale di Beuys divenne paradigmatico per l’impatto dei concetti artistici sulla vita di ogni individuo, sulle sfide della conservazione della natura e dell’ambiente. Ognuno ha il potere per intervenire sul proprio cambiamento e su quello della società, perché “La rivoluzione siamo Noi” (1971). Il fattore decisivo è la volontà. Il fatto che oggi Beuys venga celebrato in grande stile anche in Italia in occasione dei cento anni dalla nascita e che, tra l’altro, compaia in prima pagina sul “Giornale dell’Arte” (ed. marzo 2021) paragonato a Mario Draghi (“Draghi come Beuys”) è quindi un segnale positivo e di speranza affinché l’arte possa tornare ad avere più peso in politica.
[i] Probabilmente da febbraio/marzo a giugno 1943. Beuys descrive retrospettivamente le sue esperienze come una presa visione dello “spirito e della cultura dell’Italia che si opponeva all’orrore della guerra.” In: G. Celant, Beuys. Tracce in Italia, ed. Amelio, Napoli 1978, p. 67. Produsse numerose opere, disegni e schizzi su Foggia e sul paesaggio circostante, come il Monte Gargano.
[ii] Beuys voleva “imparare il mestiere di scultore dopo la guerra”, in: Joseph Beuys. Das Geheimnis der Knospe zarter Hülle. Texte von 1941-1986, a cura di Eva Beuys, München 2000, pp. 269-271.
[iii] Alla fine degli anni Sessanta, oltre a documenta 4 vi furono altre mostre importanti in Europa che indagarono i fenomeni dell’epoca. A Prospect ’68 a Düsseldorf, alla mostra curata da Harald Szeemann Live in your head: When Attitudes become Form a Berna o alla mostra Op Losse Schroeven ad Amsterdam (entrambe nel 1969), circolava accanto a quello di Arte povera una grande varietà di concetti come Earth-Works, Arte Concettuale, Process Art, anti-forma o Land Art. Gli artisti dell’Arte povera e Joseph Beuys diedero la loro testimonianza a tutti questi eventi.
[iv] Per maggiori dettagli sull’incontro cfr. Tracce in Italia, cit., pp. 8-9.
[v] Amelio parlava correntemente tedesco, inglese e francese. Aveva imparato il tedesco durante un lungo soggiorno nell’allora DDR. Beuys parlava solo inglese, le sue conoscenze della lingua italiana (risalenti al tempo della guerra a Foggia) erano molto modeste; cfr. Bernd Klüser in dialogo con l’autrice, München, 18.9.2006.
[vi] Per un elenco delle attività si veda l’intervista a Lucio Amelio in: Joseph Beuys. Arena – wo wäre ich hingekommen, wenn ich intelligent gewesen wäre, a cura di Lynne Cooke e Karin Kelley, Ostfildern bei Stuttgart 1994, pp. 34-51. Achille Bonito Oliva raccolse a Capri la prima intervista a Beuys in Italia, che apparve nel dicembre 1971 sulla rivista “Domus” con il titolo Partitura di Joseph Beuys, la rivoluzione siamo noi.
[vii] Beuys viaggiò in treno e quando arrivò, portava un cappotto di pelle di lince che aveva indossato nel 1969 nell’azione Ifigenia/Titus Andronicus. Il titolo si ispirava a Ifigenia in Tauride di Goethe, che l’autore aveva trasposto in versi durante il suo viaggio in Italia. Il personale “viaggio in Italia” di Beuys seguì il proprio corso.
[viii] Sui paralleli tra le opere di Joseph Beuys e di alcuni rappresentanti dell’Arte povera, si veda C. Angerbauer, Joseph Beuys und die Arte povera. Materialität und Medialität, München 2015 (pubblicazione per il progetto di tesi, finanziato dal Deutscher Akademischer Austauschausdienst e dal Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-Institut).
[ix] Jannis Kounellis in dialogo con l’autrice, Niccone, 17.3.2009.
[x] Il catalogo Beuys. Tracce in Italia (1978), a cui collaborò lo stesso Beuys, sarebbe diventato l’opera più importante per la registrazione completa e la cronologia delle sue attività in Italia nel periodo fino al 1977.
Fotografia: Bärbel Reinhard, Elisa Perretti (Fondazione Studio Marangoni)
Progetto: Jan Simane, Verena Gebhard, Lisa Hanstein
Coordinamento: Verena Gebhard, Lisa Hanstein, Rafael Ugarte Chacón
Testi: Jan Simane, Lucrezia De Domizio Durini, Carolin Angerbauer